di SALVATORE ANTONACI

Una ghiotta anticipazione dell’ordalia catalana (fortunatamente assai meno cruenta di quella medievale) sarà costituita dalle elezioni, anche in questo caso anticipate, che si svolgeranno il prossimo 21 ottobre nell’estrema provincia occidentale della Galizia e in quel tormentato angolo della penisola iberica che molti abitanti autoctoni denominano Euskadi, nel mentre il potere centrale preferisce un più neutrale “Paese basco”.

Non ci si attendono soverchie sorprese da Vigo e dintorni, bastione conservatore perso e riconquistato dai popolari nel volgere di pochi anni. Il paese che ha dato i natali, fra gli altri, al dittatore Francisco Franco e a Manuel Fraga Iribarne, fondatore del PP dovrebbe mantenere al governo il partito guidato a livello nazionale da Mariano Rajoy, attuale inquilino della Moncloa nella sua qualità di Premier spagnolo. Il radicamento di un vivace movimentismo autonomista gallego non sarà sufficiente a scalzare le tradizionali gerarchie di potere nemmeno in coabitazione con i socialisti del posto, alle prese, come ovunque d’altronde, con la difficile ripartenza successiva alla rovinosa disfatta nazionale dello scorso autunno.

Ma, per contro, nelle tre province che formano la comunidad basca, la lotta sarà all’ultimo voto fra le due principali forze autonomiste in loco: il tradizionale e moderato PNV (partito nazionale Basco) e la, in verità, indipendentista coalizione di sinistra Bildu, già protagonista di un clamoroso exploit nelle consultazioni provinciali del 2011. Bildu è il risultato della convergenza di almeno 4 distinti soggetti elettorali che avevano provato la sorte dell’urna marciando divisi: EA (Eusko Alkartasuna, Solidarietà Basca), Alternatiba, Aralar e la Izquierda Abertzale, nient’altro, quest’ultima, che l’ennesima reincarnazione di Batasuna, il braccio politico dell’organizzazione terroristica ETA.

Proprio il superamento definitivo della lotta armata, il 21 ottobre simbolicamente sarà il primo anniversario dello storico avvenimento, ha permesso a questa neonata formazione di esplodere elettoralmente raggiungendo e superando il 25% dei voti, quanto basta per sbaragliare i partiti “unionisti” (socialisti e popolari)  collocandosi al secondo posto a non grande distanza dai cugini del PNV. Fiutando la possibilità, tutt’altro che remota di un clamoroso sorpasso, il candidato Lehendakari (Primo ministro basco) nazionalista, Inigo Urkullu, ha promesso, oltre ad una riforma fiscale ed al proseguimento del processo di pacificazione (sul tavolo lo scottante dossier del contenzioso con i parenti delle vittime del terrorismo e lo status degli “etarras” ancora detenuti) anche un rilancio dell’autogoverno con il progetto di “un nuovo status politico per la comunità basca”, formula piuttosto ambigua, si potrà osservare, tanto più che  lo stesso Urkullu ha affermato di non voler precludersi nessuna possibile alleanza in vista di un possibile patto di governo.

Se la scelta dovesse, ad esempio, cadere proprio su Bildu, i numeri direbbero che con quasi il 60% dei voti e dei seggi (queste, perlomeno, le ultime previsioni) uno scenario di tipo catalano non sarebbe impossibile. I socialisti dell’oramai ex-Presidente Patxi Lopez sono, anche qui, in evidente affanno avviandosi a perdere almeno un terzo della propria rappresentanza e gli stessi popolari non vanno aldilà di una onorevole difesa in una zona a loro notoriamente ostica. Insomma, tutti gli ingredienti, per una competizione da seguire con estrema attenzione soprattutto in un periodo foriero, nei prossimi mesi, di rivolgimenti quasi epocali in un vecchio continente quanto mai ansioso di rinnovarsi.

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