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Ave y Nada: principio e fine
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26/11/2015 – Il terzo lungometraggio di Cristóbal Arteaga è una singolare rilettura della genesi dell’umanità che, senza dialoghi e con due soli attori, è stata presentata nella sezione Llendes
Un anno fa, Cristóbal Arteaga non solo era giurato a questo Festival Internazionale del Cinema di Gijón (leggi l’intervista), ma vi presentava anche la sua inedita opera prima (Faro sin isla [+leggi anche:
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intervista: Cristóbal Arteaga
scheda film]) lanciata successivamente al suo secondo lavoro, El triste olor de la carne [+leggi anche:
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scheda film]. Questo cileno trapiantato in Spagna già affrontava temi come la solitudine, la fede e i tormenti religiosi in quel film dove la natura esuberante della sua amata terra d’adozione (la Galizia) si convertiva in qualcosa che andava ben al di là del topos “il paesaggio come personaggio in più”.
Arteaga mette nuovamente i suoi due personaggi in rapporto con l’ambiente in Ave y Nada. Innanzitutto Adamo (Manu Polo), il primo uomo sulla Terra. In quanto creatura primigenia, non ha riferimenti, non sa come camminare né come sopravvivere: deve inventare tutto, persino la paura. Essere pioniere significa rischiare, lanciarsi, sopravvivere e sbagliare. Nudo, erra per un fitto bosco dove comincia a dare libero sfogo ai propri istinti, incluso quello sessuale (in modo onanista).
Dopo una notte di sogni agitati, la mattina trova una creatura, anch’essa nuda, sdraiata accanto a sé: Eva (Antía Costas). Dopo lo spavento iniziale, cominceranno a conoscersi (l’olfatto avrà un ruolo capitale, come negli animali), a convivere, ad amarsi… e a odiarsi. Poco per volta, questi Adamo ed Eva vanno sviluppando un linguaggio simbolico a base di pitture e grafici, preludio alla creazione di idoli primitivi. Arteaga divide questo viaggio in stagioni separate da interludi che lasciano lo schermo nero, punteggiate da musiche diverse, da un ritmo tribale a un moderno tema elettronico, passando per melodie medievali, come a espressione di un’umanità il cui progresso è inarrestabile, ma non sempre corretto.
Senza una riga di dialogo, il film ci rende partecipi dell’esperienza física che vivono i suoi interpreti che, a partire da una sceneggiatura di appena una decina di pagine, hanno molto improvvisato – cosa abituale nella filmografia di Arteaga – per ricreare davanti alla cinepresa uno dei miti fondamentali della nostra storia, sebbene alla fine diverga dal racconto biblico. Per rendere questo contatto diretto con la natura un elemento primordiale, la cinepresa si mantiene lontana e, dato che i dialoghi brillano per la loro assenza, non esiste il campo-controcampo. Nelle scene di sogno, il cineasta opta per proiettare sui personaggi dormienti fotogrammi di figure inquietanti in movimento, dai suoni ugualmente indecifrabili.
Il film, presentato nella sezione alternativa Llendes di questa edizione la cui programmazione è eccellente, si converte così in un’esperienza física a partire da un tema metafisico. Con una penultima sequenza girata nella celebre Playa de las Catedrales, Ave y Nada si chiude con un travelling su un bosco desolato che fa da contrappunto all’altro che ha aperto il film, quello su un paradiso verde: il cerchio di chiude in modo sconcertante in questo film prodotto da Deica Audiovisual.
(Tradotto dallo spagnolo)
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