di Paolo Piffer

Qualche anno fa nella Galizia occidentale, oggi territorio polacco (quella orientale sta in Ucraina) venne distrutto un cimitero che raccoglieva i poveri resti dei soldati austro-ungarici, tedeschi e russi che avevano combatterono in quella zona nel corso della Prima guerra mondiale. Ci costruirono sopra un distributore di carburante. Ultimamente, in occasione del Centenario del conflitto, quel fazzoletto di terra è stato “riesumato” e oggi è tornato ad essere un campo santo. Lo ha raccontato ieri alle Gallerie di Piedicastello a Trento, dove si è svolta una mattinata che ha visto coinvolti i musei del Tirolo storico (e oltre), Andrzej Szpunar, direttore del museo di Tarnów, in Polonia. Un episodio che da solo, pur circoscritto, può essere preso a simbolo di quanto, comunque la si pensi, le commemorazioni possano essere utili se riescono a riportare a galla e trasmettere la memoria, in particolar modo rivolgendosi alle nuove generazioni, come è stato sottolineato in più di un intervento. Ma il seminario, nel corso del quale è stato affrontato il tema della comunicazione della Grande Guerra e del Novecento e dedicato un ampio excursus a beneficio dei colleghi austriaci di quanto i musei trentini e le esperienze altoatesine stanno sviluppando ad un secolo dalla guerra, ha visto come protagonista Beate Palfrader, assessore alla cultura e all’istruzione del Land Tirol. Perché l’amministratrice, senza tanti giri di parole, non ha nascosto quanto la percezione storica sulla Grande Guerra di trentini, sudtirolesi e tirolesi d’oltre Brennero sia stata per lungo tempo diversa e a volte inconciliabile ma che ormai sia ora di cambiare passo. I concetti di “traditore” od “eroe”, ad esempio, che tante polemiche ancora oggi suscitano al solo accennare a Battisti, vanno superati, a favore di “una storia che accomuna” partendo dalla considerazione che “tutti subirono lutti, morti, terrore, distruzione e dolore”. «Certo – ha aggiunto – ci vuole tempo per uscire da questo circolo vizioso ma si è iniziato a farlo e se ne cominciano a vedere i frutti». E a dimostrazione di quanta strada ci sia ancora da compiere, l’ha fatto capire da subito l’intervento dello storico Vincenzo Calì, già direttore del Museo storico di Trento, che a proposito del percorso espositivo realizzato sotto il Monumento alla Vittoria di Bolzano, ha detto, plaudendo all’iniziativa, che «deve essere portato in superficie». «Ma – ha proseguito – il monumento, invece, va raso al suolo perché falsifica la storia e impedisce una reale convivenza tra i gruppi etnici». Una provocazione, a detta dello stesso Calì, che non ha trovato consensi in sala, anzi. Carlo Martinelli, dirigente del Servizio attività culturali della Provincia di Trento, ha affermato che «fornire una rappresentazione unitaria del Centenario è difficile ma la nostra responsabilità è quella di rivolgerci soprattutto ai giovani e svolgere un’azione di sensibilizzazione alla pace».

Gustavo Corni, docente di storia contemporanea all’università di Trento, si è invece chiesto perché nel Land Tirol non ci siano musei dedicati alla Grande Guerra, se non uno, peraltro privato. «Le vere lacerazioni – hanno in pratica riassunto i colleghi d’oltre Brennero – si verificarono nel Dopoguerra».

Detto e non detto: fascismo, nazionalsocialismo, italianizzazione forzata dell’Alto Adige. E non è un’altra storia.

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