16/09/2014 13:37

Carzano — Sabato 20 settembre, ore 20.30, a Carzano (Trento), nella Palestra Polifunzionale, lo storico Roberto Coaloa e S.A.I.R. l’Arciduca Martino d’Austria-Este (nipote da parte paterna dell’ultimo Imperatore d’Austria-Ungheria, il Beato Carlo d’Asburgo, e, da parte materna del Duca d’Aosta, Amedeo di Savoia-Aosta, l’eroe dell’Amba Alagi) ricorderanno il centenario della Grande Guerra. Tema della serata: “Agosto 1914: la partenza dei Kaiserjäger per la Galizia”. Con loro dialogheranno Maurizio Dossena e Luciano Salerno.

Coaloa presenterà anche i suoi tre libri dedicati alla storia della Duplice Monarchia: “Carlo d’Asburgo, l’ultimo imperatore. Il «gentiluomo europeo», profeta di pace nella Grande guerra” (2012); “Mediterraneo Imperiale” (2013) e “Franz Ferdinand. Da Mayerling a Sarajevo” (2014).

Carzano è un luogo simbolo della Prima guerra mondiale combattuta sul fronte italiano. Il paese di Carzano è stato il teatro, tra l’estate e l’autunno 1917, di un episodio bellico di cui furono protagonisti il maggiore del Servizio Informazioni italiano Cesare Pettorelli Lalatta e l’ufficiale dell’esercito austro-ungarico, Ljudevit Pivko. È comunemente noto come il “sogno di Carzano” perché, se realizzato come pianificato, avrebbe consentito alle truppe italiane di dilagare in Valsugana e arrivare forse fino a Trento.Domenica 21 settembre saranno commemorati i caduti della Grande Guerra, con interventi degli eredi dei due eserciti. Deposizione corone ai Monumenti Bersaglieri e Croce Nera, corteo al Cimitero, deposizione corona al Monumento Caduti di Carzano.Anticipiamo alcuni passi dell’intervento del nostro collaboratore Roberto Coaloa.

Agosto 1914: la partenza dei Kaiserjäger per la Galizia.

La guerra sul fronte orientale fu subito caotica e tragica. Iniziò, come in tutta l’Europa belligerante, con acuti e allegri suoni di guerra: marce trionfali, urla di gioia, di esaltazione, Hurrà! Scoppiata la guerra nell’agosto 1914, la Galizia – possedimento della Corona austriaca ai confini con la Russia – si trasformò rapidamente in un vasto campo di battaglia, sul quale, fin dai sanguinosi combattimenti di quel primo mese fatale, morirono migliaia di soldati tedeschi, ungheresi, polacchi, ucraini, italiani e di altre nazionalità dell’Impero, arruolati sotto una bandiera che – per molti di loro – era il simbolo di uno Stato straniero. Anche la popolazione civile subì le pesanti conseguenze delle violente battaglie e del movimento degli eserciti sul proprio territorio. Gli strateghi militari austro-ungarici consideravano la Galizia come il naturale punto di partenza di ogni azione offensiva contro l’Impero zarista. Per quest’ultimo, invece, essa costituiva il passaggio obbligato verso le regioni centrali del Paese nemico, la cui occupazione, determinando la probabile sconfitta dell’Impero degli Asburgo, avrebbe affrancato la Russia da una guerra condotta simultaneamente contro gli eserciti degli Imperi Centrali. La Russia schierò sul fronte galiziano 47 divisioni di fanteria, 18 di cavalleria e 3.000 cannoni, a cui l’Austria-Ungheria contrappose 32 divisioni di fanteria, 10 di cavalleria e 2.000 cannoni. Mentre i tedeschi erano costretti ad abbandonare le rive della Marna e il loro piano di una rapida vittoria a ovest andava in fumo, i soldati della Duplice Monarchia si battevano per non essere ricacciati dai russi oltre le frontiere della Galizia. Il 10 settembre 1914, nello stesso giorno in cui il generale Joseph Jacques Césaire Joffre impartiva ai francesi l’ordine di inseguire i tedeschi a nord della Marna, proclamando che «la vittoria è ormai affidata alle gambe dei fanti», a Kraśnik, nella Polonia russa, a un passo dal confine, i russi sconfissero gli austriaci, penetrati in forze nei loro territori. Un’altra vittoria russa più a sud, nella Galizia austriaca, costrinse il Capo di Stato Maggiore dell’Impero, Franz Conrad von Hötzendorf a ordinare ai suoi di ritirarsi. «Oggi, nelle prime ore del mattino, abbiamo abbandonato la nave con tutto il carico» scrisse il 13 settembre Ludwig Wittgenstein. «I russi ci stanno alle calcagna. Ho assistito a scene atroci. Non chiudo occhio da trenta ore, sono debolissimo e non c’è da sperare in nessun aiuto esterno». Negli ultimi giorni di agosto 1914, ingenti forze austro-ungariche mossero all’attacco dei Russi in Volinia, respingendoli fino a Lublino e al fiume Bug, ma incontrarono la forte resistenza dell’esercito avversario, che passò rapidamente alla controffensiva. All’inizio di settembre, nella loro avanzata in territorio nemico, i Russi occuparono Leopoli, capitale amministrativa della Galizia, e, pochi giorni più tardi, raggiunsero il fiume San, stringendo d’assedio la vasta piazzaforte di Przemysl. All’interno della fortezza, si ammassò il presidio militare della Duplice Monarchia, forte di 127 mila uomini. Con loro anche 18 mila civili e 14.500 cavalli. Attorno a loro un’armata forte di un milione e trecentomila uomini. La fortezza fu subito circondata da sei divisioni russe. Iniziò un assedio raccapricciante, il più lungo della Prima guerra mondiale.In Galizia, terra lontana e sconosciuta, che rappresentava il diverso per antonomasia della Duplice Monarchia, combatterono fin dal 1914 decine di migliaia di italiani dell’Impero, abitanti del Trentino, dell’Ampezzano e delle province adriatiche dell’Impero asburgico. Tra le grandi unità inviate in Galizia all’inizio di agosto, c’era anche il XIV corpo d’armata di Innsbruck (Edelweiss), forte di 60.000 uomini e comandato dall’arciduca Giuseppe Ferdinando d’Asburgo Lorena, nelle cui fila erano inquadrati i Kaiserjäger (4 reggimenti) e i Landesschützen (3 reggimenti) del Tirolo italiano. I soldati trentini inquadrati nell’esercito austro-ungarico furono circa 25.000 Welschtiroler e Ladini. Essi furono arruolati nelle diverse unità campali e nella riserva di questi reparti. Poiché anche in altre unità (come il K.u.k. Tiroler und Vorarlberger Gebirgsartillerieregiment Nr. 14, di stanza a Trento) prestavano servizio dei Tirolesi di lingua italiana, si devono aggiungere ai precedenti altri 1.000-2.000 uomini, per un totale di circa 27.000 Trentini e Ladini in armi all’inizio della guerra. Tra il 1915 e il 1918, la mobilitazione si estese ai nati negli anni 1865-71 e 1894-900, ampliandosi di ulteriori 14 classi rispetto alla leva del 1914 (1872-93). Supponendo che i Tirolesi di lingua italiana fossero circa 2.000 per ogni classe reclutata, si può concludere che gli uomini chiamati alle armi dopo l’entrata in guerra del Regno d’Italia furono circa 28.000, che si aggiunsero gradualmente ai 27.000 inquadrati nell’agosto 1914. I 55.000 soldati complessivi, dunque, costituirebbero il limite superiore della leva imposta al Trentino. Sembra tuttavia realistico tarare verso il basso questa cifra di almeno 5.000 unità, poiché, già prima dell’arruolamento, le classi più anziane erano meno numerose di quelle giovani, a causa dei decessi e delle precarie condizioni di salute degli uomini immatricolati: il rapporto tra arruolati e popolazione civile, pertanto (poco meno di 400.000 unità secondo il censimento del 1910), fu pari al 12-13%. I Kaiserjäger e i Landesschützen tirolesi ebbero il “battesimo del fuoco” ancora nel mese di agosto 1914, partecipando all’offensiva austro-ungarica in Volinia, che costrinse l’esercito russo a ripiegare verso Lublino e il fiume Bug; nel corso della guerra, inoltre, furono impiegati in tutte le principali campagne militari. Quale fu il “tributo di sangue” del Trentino nella prima guerra mondiale? 10.501 morti, ai quali si devono sommare i circa 50 caduti tra i volontari trentini nell’esercito italiano, è sensibilmente superiore a quella di 7-8.000 morti fatta propria dalla storiografia locale e desunta dalla Carta del sangue elaborata da Wilhelm Winkler nel 1919.Ai morti occorre aggiungere le migliaia di feriti e di mutilati, per i quali una stima anche sommaria è oggi praticamente impossibile, oltre ai moltissimi prigionieri per caso (i catturati) o per scelta (i disertori). Dispersi nella vastità dell’Impero zarista, in molti (alcune migliaia) fecero una scelta irredentistica e, raccolti nel campo di Kirsanov, nell’ottobre 1916 furono avviati verso l’Italia, altri si arruolarono nelle formazioni antibolsceviche in Estremo Oriente o si schierarono con i rivoluzionari, ritornando a casa quando la guerra era già da tempo finita, altri ancora vollero tenere fede al giuramento prestato, occupati come forza lavoro nella sterminata vastità della Russia.La memoria dei caduti della Grande Guerra.Cosa ricordare a cento anni dall’inizio della Prima guerra mondiale?Che cosa fare? Come ricordare i morti dell’«inutile strage»? Discutere dell’ammainabandiera? Sì. Per me dovrebbe esserci la bandiera europea. Cosa accadrà nel 2018? In Italia si ricorderà una vittoria? Io, spero di no. Oggi siamo europei e dobbiamo definire la nostra appartenenza europea, ricordando la guerra come una immane tragedia. Già in un articolo uscito nel 2008 sul Sole24Ore trattavo questa polemica, dibattendo con lo storico Mario Isnenghi, sul 4 novembre (Info: http://www.pbmstoria.it/giornali4277).Oggi, invece, ricordiamo i cento anni dell’inizio della fine: il 1914. Proprio perché i miei avi combatterono contro l’Impero (che non c’è più) nella grande guerra, ora, non mi sento di ricordare solo loro. Da europeo che ha visto gli occhi malinconici e tragici di chi ha combattuto nella Prima e nella Seconda guerra mondiale (ad esempio mio zio Biagio, soldato in due guerre mondiali), oggi io vorrei ricordare tutti i morti. È un dovere ricordare con rispetto i morti dell’esercito austro-ungarico nella Prima guerra mondiale.Due parole quindi sui caduti della Duplice monarchia degli Asburgo.Oggi i vecchi campi di battaglia sono riconoscibili dalle centinaia di cimiteri di guerra, sparsi dalla Galizia all’Ucraina e dal Tirolo a Trieste, diverse decine dei quali nei pochi chilometri che vanno da Caporetto (la slovena Kobarid) alla costa adriatica. Nel clima politico che accompagnò la dissoluzione dell’antico Impero, facendo venir meno qualunque rispetto per la sua storia e le sue tradizioni, i caduti della Duplice Monarchia non sono stati commemorati come avrebbero meritato. La nuova repubblica austriaca era ormai un piccolo Stato nondimeno, mentre l’Ungheria in un primo tempo si limitò si limitò a ricordare i soli caduti della Honvéd. Circa vent’anni dopo l’armistizio un’altra guerra mondiale passò su quelle tombe, seguita dall’installarsi di regimi comunisti nei territori dell’Impero asburgico. Naturalmente questi non avevano nessun interesse a onorare i caduti delle forze armate imperial-regie nella Prima guerra mondiale.In Austria è stata costituita un’associazione, chiamata Österreichisches Schwarzes Kreuz, Croce Nera Austriaca, con il compito di prendersi cura delle tombe rimaste in Austria e lungo i vecchi fronti di guerra utilizzando i fondi provenienti da donazioni e collette, ma non ha alcun finanziamento governativo. È da ricordare che i primi stranieri a cooperare siano stati gli italiani.Dopo la caduta della Cortina di Ferro, anche nei Paesi in precedenza governati da dittature comuniste la popolazione ha cominciato a interessarsi della storia dell’Impero. Tutti noi speriamo che in futuro l’esercito dei morti sia lasciato al suo riposo eterno, in un luogo adeguato. Tutti i morti hanno diritto alla dignità di una giusta sepoltura. Soprattutto meritano di non essere più disturbati.

Sulle tombe dei caduti della grande guerra in Monferrato.

Il Monferrato è una delle zone d’Italia in cui, dopo la Prima guerra mondiale, molti piccoli paesi persero l’intera popolazione maschile adulta. Lo sforzo bellico, infatti, fu sostenuto da tutti: popolazione contadina delle colline e borghesi delle città. Ne scrivo con dolore, perché ho dei parenti che morirono nella grande guerra; le loro tombe sono sparse in molti cimiteri italiani. Il ricordo più straziante nella mia memoria è quello di mio bisnonno materno, sepolto nel piccolo cimitero di Casale Popolo. Da bambino, accompagnato da mia madre, mi fermavo spesso davanti alla modesta lapide e mi chiedevo come fosse possibile morire in guerra (all’epoca ero convinto che la guerra la facessero solo i soldatini che facevo morire e resuscitare sui campi di battaglia improvvisati a casa). Mi sembrava impossibile…Nel 2008, scrissi alcuni articoli dedicati a Leonardo Bistolfi e al suo monumento ai caduti di Casale Monferrato (Vedi articoli su “Il Monferrato”), partecipando anche ad incontri pubblici, come a Ozzano.

Oggi, da storico, continuo le mie peregrinazioni e ricerche. Scrivo spesso sui caduti della grande guerra, soprattutto sulle storie dimenticate.A cura dell’Associazione “Pro Torino” e del Comitato Torinese di Preparazione, nel gennaio 1916 fu pubblicato “Piemonte eroico”. Nel libro troviamo i morti del primo anno di guerra dell’esercito del Regno d’Italia. È Catterino Giorcelli a ricordare i nomi dei caduti del 1915: «Con commosse parole di superiori e commilitoni sono ricordati il capitano Pietro Bernotti, il sottotenente Carlo Prina, pure anime di eroi entusiasti, baciati in fronte dalla morte e dalla gloria; sono ricordati gli oscuri soldati che hanno data alla Patria la loro giovinezza, nobilmente e che sono morti gridando in faccia al nemico tutta la loro devozione eroica all’Italia nostra. Quanti altri sacrifici la Patria chiederà ancora, il popolo nostro monferrino, forte e tenace, darà con fermo animo, poiché a ciò fare lo spronano la memoria dei suoi eroi nuovi e antichi. E certo altri suoi figli saluterà Casale insigniti di altissima distinzione, oltre a quelli che, decorati, continuano al campo a dar prove mirabili di coraggio generoso. Ed anche qui si rivela la pura anima monferrina, forte di coraggio cosciente e sereno, eguale in tutte le classi, in tutte le gradazioni sociali. Ecco i due giovani casalese finora decorati di medaglia d’argento al valore: Giovanni Tommaso Caire, avvocato e sottotenente del genio; Carlo Leopardo, manovale ferroviario, bersagliere».Alla fine del 1918 i caduti monferrini nella grande guerra si contarono a migliaia. Sorprendono i tantissimi nomi di uomini caduti nell’ultimo anno di guerra, spesso ragazzi del “99”. A Ozzano, come a Casorzo, si ritrovano maestose tombe dei giovani soldati falciati nell’atroce carneficina. Non è un caso che a Casale Monferrato e ad Alessandria ci siano due tra i più imponenti monumenti ai caduti della grande guerra. Il monumento di Alessandria fu eseguito dallo scultore Gaetano Orsolini. La località dove fu eretto il monumento ai caduti fu consigliata da un comitato in cui furono ascoltati i pareri di Leonardo Bistolfi: «Il monumento ai Caduti è un’ara a cui si dovrebbe accedere in pio pellegrinaggio, ed in occasioni speciali; perciò non ha sempre la sua sede acconcia in una piazza dove è sovente disturbato da mercati o da altre riunioni rumorose e profane, e dove per prima cosa dovrebbe avere grandi dimensioni e dovrebbe essere in armonia coi circostanti edifici, mentre poi avviene che gli edifici circostanti, alla loro volta, non sempre possono costituirgli degna cornice. In modo più sicuro lo scultore raggiungerà il suo scopo se potrà erigere l’opera sua in un ambiente di verde, lontano dal traffico e sfruttando quale naturale sfondo una bella cortina di piante». E fu con questo programma che Leonardo Bistolfi a Casale adattò e armonizzò la sua opera sullo sfondo di un grande giardino: il celebre monumento ai caduti, con la bellissima figura del fante, che testimonia il dolore e il sentire di un’epoca.

Il 1918 fu un’atroce sconfitta per l’Europa! I fantasmi dei morti chiedono ancora di essere sepolti in pace. Non si può ricordare una vittoria. L’Italia si trovò con alcune conquiste territoriali sulle quali restano le ombre e gli incubi di altre guerre.

Roberto Coaloav

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