Jul
27
Non c’è più molto che non sia già stato detto sul treno spagnolo lanciato a folle velocità e deragliato in maniera violentissima vicino a Santiago de Compostela: sappiamo che viaggiava a 190km/h in una curva dove il limite è 80, che a bordo c’erano 222 persone (4 addetti delle ferrovie e 218 passeggeri), 78 dei quali non sono sopravvissuti allo schianto. Sappiamo che uno di loro era un italiano, Dario, ragazzo messinese di 25 anni, residente in Germania. E poi 140 feriti, di cui 95 ancora ricoverati, 36 sarebbero gravi, fra i quali quattro bambini.
Abbiamo saputo che il macchinista, già in stato di arresto, si chiama Francisco Jose Garzon Amo, 52 anni, nell’impatto ha riportato una ferita alla fronte, abbiamo anche letto che subito dopo l’incidente implorava di morire, che ha ammesso la sua colpa ma oggi si rifiuta di parlare agli inquirenti.
Sappiamo che la più grande arena sportiva di Santiago di Compostela è stata trasformata in un obitorio temporaneo per raccogliere le vittime e che la città prepara a celebrare i funerali nella sua cattedrale, meta di milioni di pellegrini da tutto il mondo.
Sappiamo che tutto è successo alle 20.42 mercoledì vicino a Santiago di Compostela, in Galizia, nel nord della Spagna, e che il treno era un Alvia 151, della compagnia statale Renfe, un bolide che può raggiungere i 250 km/h. In ogni parte del mondo è stato visto il video dello schianto, nessun dettaglio manca alla ricostruzione dei fatti: dieci vetture uscite dai binari dopo una lunga curva, di cui oggi si scopre che era ritenuta “pericolosa” dai tecnici, altre vetture si sono capovolte e si sono incendiate, altre ancora sono state scaraventate su un muro accanto ai binari, un vagone sarebbe volato a 5 metri di altezza.
E’ stato inoltre reso noto che la tratta dove ha avuto luogo l’incidente non è sorvegliata dal sistema di sicurezza Ertms, che impedisce che un treno superi la velocità fissata, ma che il treno era dotato del sistema Asfa, dispositivo automatico che avvisa che si sta procedendo oltre il limite di velocità consentito e obbliga il macchinista a obbedire alle indicazione o, in automatico, attiva il freno d’emergenza fino all’arresto del convoglio. Pare fra l’altro che il conducente avesse avvertito la sala di controllo di aver ricevuto l’allerta: “Dovevo andare a 80, ma vado a 190”, avrebbe dichiarato.
Ma perchè poi non abbia frenato o il freno d’emergenza non sia scattato, ancora non è dato di sapere.
Il governo regionale di Galizia, sappiamo, ha dichiarato sette giorni di lutto, mentre nel resto della Spagna le giornate di lutto nazionale saranno tre.
“Bisognerà fare attenzione a quella curva, è pericolosa” pare che qualcuno lo avesse detto all’inaugurazione dei quel tratto ferroviario, inascoltata cassandra.
“Una tragedia annunciata”, si dice ora. Annunciata: annunciata a chi? alle famiglie? alle mogli, ai mariti, ai genitori, agli affetti pù cari che ora piangono quei morti? annunciata a chi? A loro no senz’altro. A loro, a cui tocca piangere, come a tanti prima di loro, “compagni” di catastrofi annunciate, disperarsi invano, piangere e ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti, chiedere spiegazioni, cercare una ragione in una tragedia che ragioni non ha. A loro spettano compiti terribili in questi giorni, che non stiamo a descrivere, perchè sono cose che tutti noi possiamo immaginare. E le abbiamo lette già troppe volte sui giornali.
E poi, cosa rimarrà di questa strage? Polemiche, dibattiti sulla sicurezza, comitati pro e contro, magari anche qualche buona iniziativa istituzionale ‘perchè tragedie simili non si ripetano’. E poi la rabbia, gli occhi bassi davanti alla tv durante i funerali, le frasi fatte “io se fossi un parente ..”, il processo, la condanna o l’assoluzione, il dibattito sulle responsabilità, la stima dei danni materiali, la riapertura della linea ferroviaria, le cerimonie commemorative, i lugubri discorsi conditi da un po’ di commozione dei preposti all’esposizione meditica. Poi il ritorno alla normalità. Una normalità che però non è per tutti, perché per centinaia di persone la normalità è finita alle 20.42 di mercoledì 24 luglio, in Spagna, nei pressi di uno dei luoghi di pellegrinaggio più famosi al mondo. E non ci sarà discorso, rimborso, processo, condanna, che potranno ridare sollievo a chi rimane o restituire la vita a quegli incolpevoli viaggiatori uccisi dal folle mito della velocità in una calda serata d’estate.
Patrizia Calzolari
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