Nemmeno quando il presidente del collegio Marzio Bruno Guidorizzi gli ha letto parte del contenuto del colloquio nel corso del quale un imprenditore, parlando con Alfonso Galizia, consegna di una busta con 25mila euro (e altri 5.000 li aveva portati per Massimo Casaccia) scusandosi perchè la somma è inferiore a quella richiesta, nemmeno in quest’occasione l’ex comandante della tenenza di Soave ha riconosciuto che quel denaro serviva per «sistemare» un’anomalia riscontrata durante un controllo. E quel dialogo fu registrato perchè all’imprenditore di Boscochiesanuova erano stati chiesti soldi per «garantirgli tranquillità negli affari».  «Mi stavo riferendo a fatture, anche quando dissi parlo io al comandante, ero convinto di parlare di verbalizzazioni», ha risposto Galizia. «Guardi lei può dire quello che vuole ma c’è questa conversazione», ha incalzato il presidente. «E poi scusi ma come spiega tutti gli imprenditori che sono venuti qui a dire che vi portarono dei soldi?». «Su questo ho tanti dubbi» la risposta del sottufficiale della Guardia di Finanza che venne arrestato insieme al collega Casaccia l’8 settembre 2010 con l’accusa di concussione. E a quest’ipotesi di reato se ne aggiunsero altre, il falso (perchè figurava presente alle verifiche mentre si trovava in ufficio) e la truffa. E ieri è emerso che anche la fidanzata di Casaccia è iscritta nel registro degli indagati per l’ipotesi di riciclaggio. Ma davanti al collegio le due facce dell’inchiesta si sono confrontate. Da una parte il sostituto commissario che fece le indagini e dall’altra il maresciallo che ha negato ogni cosa cercando di fornire versioni alternative. «Mi spieghi come mai ha ammesso gli addebiti nell’interrogatorio di garanzia, poi in udienza preliminare ci ha ripensato», gli ha chiesto il pm Beatrice Zanotti. Galizia ha spiegato che gli era stato consigliato di ammettere tutto ma poi, trovandosi in carcere e in isolamento, aveva letto gli addebiti e analizzato mille volte il suo comportamento. E ha negato tutto. LE INDAGINI. Iniziarono nel gennaio del 2010, quando la Guardia di Finanza trasmise la denuncia fatta nel luglio 2009 dall’imprenditore che alcuni anni prima (e cioè nel 2006) aveva consegnato il denaro. «Per prima cosa trascrivemmo la registrazione, poi le indagini si spostarono sulle utenze telefoniche in uso a Galizia (due) e a Casaccia». La svolta arrivò l’8 marzo quando il comandante di Soave ricevette una chiamata da un’utenza della Romania: era Casaccia. Aumentarono i telefoni controllati e lo scenario mostrò i contatti frequentissimi non solo tra i due (che avevano lavorato insieme fino al marzo 2008, quando Galizia fu trasferito a Soave) ma soprattutto tra Casaccia e gli imprenditori in campo immobiliare. «Dalle chiamate si intende che vogliono evitare di far trapelare che sono amici e in seguito appurammo che il maresciallo aveva 10 Imei di cellulari e altrettante Sim. Si sentono spesso e nel marzo 2010 si capisce che devono sistemare qualcosa». Ed emerse che l’ufficio delle Entrate, esaminando un fascicolo, non aveva trovato traccia dell’esposto che aveva originato – stando alla relazione – il controllo a un’immobiliare da parte della Guardia di Finanza. E gli esposti anonimi rappresentano, in quest’indagine, una sorta di leit motiv: giustificavano gli accertamenti fatti da Casaccia. Ai quali seguivano le richieste di denaro. E di nuovo il presidente ha chiesto: «Senta, sono tutti venuti in caserma a pagare, come era possibile che un suo sottoposto si comportasse così?». «Non sapevo le verifiche che faceva», la risposta. I FALSI E LA TRUFFA. Da una parte le celle telefoniche fornirono la prova che Galizia si trovava in ufficio mentre dai rapporti figurava in altri luoghi. Ovvero a fare verifiche in aziende. Lì c’erano i suoi colleghi e stando a quello che emerse dalle intercettazioni, il comandante della Tenenza li chiamava e chiedeva di apporre il suo nome. «L’11 maggio telefonò a un collega dicendo di segnarlo dalle 11 alle 12», ha spiegato il funzionario di pg, «per quanto riguarda la truffa l 19 maggio si allontanò dall’ufficio dicendo che sarebbe andato a Zevio ma sta fuori due ore con la moglie. Questo emerse dopo il suo arresto, incrociando i dati: era intercettato. Il telefono apriva la cella della piazza di Soave, per le relazioni di servizio era da tutt’altra parte». Alfonso Galizia ha cercato di spiegare: «Andavo e venivo continuamente dalla caserma, magari stavo dieci minuti e dicevo di segnare un’ora». Poi i contatti frequenti con Casaccia: «Ci sentivamo, quella volta stava cercando un esposto e visto che io avevo tutti i file sul computer gli dissi che provavo a cercarlo e comunque sospettava che ci fosse un’indagine a suo carico». Ha spiegato come venivano impartite le disposizioni di servizio e che non si possono fare verifiche senza il capopattuglia ma ha ribadito che lui non poteva intervenire. E ancora, che un ordine orale può modificare quello scritto ma non compare sul verbale. Si riprende in giugno.F.M.

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