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Verona. «Dopo la consegna della tangente di 70mila euro, il finanziere mi diede una caramella».  Il racconto dell’imprenditore risuona in un’aula attonita e silenziosa. Ad ascoltare il suo racconto, la pattuglia di legali tra difensori e parti civili intenzionati a far piena luce sugli episodi di concussione di cui sono accusati gli ex finanzieri ora congedati, Alfonso Galizia, 54 anni e Massimo Casaccia, 44. Sul banco degli imputati, siedono altri sette finanzieri, Luca Leombruni, Michele Salcuni, Emiddio Ponente, Antonio Mazzucco, Simone Padula, Nicolino Brau e Rossano Fraccarolo, ancora in servizio ma con accuse ben più lievi rispetto agli altri due ex colleghi. Per loro il capo d’imputazione parla della falsificazione di verbali di controlli e di orari nei fogli di servizio. A dirigere i lavori in aula il tribunale, presieduto da Marzio Bruno Guidorizzi (giudici a latere Angeletti e Piziali), intenzionato a chiudere il processo di primo grado nel più breve tempo possibile. E lo si è visto ieri nell’udienza fiume conclusasi solo alle 19 dopo la deposizione di una decina di testimoni sui 32, «convocati» dal pm Maria Beatrice Zanotti e dai legali delle quattro parti civili.  Il processo riprenderà venerdì prossimo quando saranno sciolti parecchi nodi, rimasti ieri in sospeso. Su tutti l’acquisizione di un verbale di uno dei sette imprenditori concussi ora molto malato.  Il pm Maria Beatrice Zanotti ieri ha poi chiesto la trascrizione delle telefonate, raccolte dagli inquirenti durante le indagini.  Ieri il processo è ruotato intorno alle consegne di tangenti a Galizia e Casaccia. Tutte le vittime hanno confermato di essere stati costretti a pagare le mazzette tra i 20 e i 70mila euro per evitare controlli e multe per la violazione delle norme sul fisco. Tra gli imprenditori, finiti nel mirino di Casaccia e Galizia, anche un noto politico della Lessinia che proprio ieri ha raccontato la concussione subita nel maggio del 2006. Ha confermato di aver consegnato una mazzetta di 30mila euro. Una situazione un po’ anomala come ha denunciato la stessa vittima ieri in aula: «Mi sono sentito in colpa per non aver denunciato queste ingiuste pretese dei due ex finanzieri ma ho pensato ai miei dipendenti».  Tutto è iniziato quando il maresciallo Casaccia è venuto nel mio cantiere, ha raccontato un’altra vittima, e mi ha invitato ad andare nel mio ufficio per prelevare una serie di documenti contabili utili a verificare la regolarità della mia posizione nei confronti del fisco. Dalla sede della tre società del testimone, il gruppo si è poi spostato in caserma. E lì sono iniziate le «minacce velate» come le ha definite lo stesso teste. «Mi è stato detto che sarebbero stati chiamati i miei clienti per verificare la regolarità delle mie fatture. Poi mi hanno anche detto che oltre ad una certa cifra di evasione, la mia posizione sarebbe stata valutata anche in sede di giudizio penale». La soluzione per risolvere il tutto era servita: il pagamento di una tangente di 70mila euro. «Presi paura ed accettai. Portai i soldi all’ultimo piano della caserma di via Mazza dentro due buste», ha raccontato la vittima.  Un altro imprenditore nel pomeriggio ha rivelato di aver iniziato a frequentare lo stesso Casaccia a cene e a feste di compleanno dopo il pagamento della mazzetta di 70mila euro. Era affetto dalla sindrome di Stoccolma?

Giampaolo Chavan


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